TUTTE LE NOVITA’

SULLA RIFORMA DEL PROCESSO CANONICO PER LE CAUSE DI

NULLITA’ MATRIMONIALI.

(Testo tratto dalla Relazione di Mons. Paolo Rigon, tenuta all’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2016)

La riforma del processo di declaratoria di nullità del matrimonio canonico stabilita dal S. Padre Papa Francesco con il “Motu proprio” “Mitis Judex Dominus Iesus” del 15  agosto 2015 è entrato in vigore il giorno successivo all’8 dicembre 2015.

Cominciamo dall’espressione “Motu proprio”: essa indica l’emanazione di un documento con determinati provvedimenti (in questo caso riguardanti il processo canonico) che il S. Padre ha espressamente voluto personalmente, per “movimento” proprio, per sua esplicita volontà.

In effetti, quando fu indetto il sinodo sulla famiglia, era emerso nei lavori preparatori il ripensamento sui processi di dichiarazione di nullità del matrimonio canonico nel senso di snellirli e facilitarli in considerazione della situazione di tanti cattolici separati e divorziati nella impossibilità di poter accedere a nuove nozze con rito sacramentale.

Tale ripensamento nasceva dalla situazione di fatto, ossia dalla coscienza che in realtà molti, troppi, matrimoni celebrati con rito religioso nascono male, ossia non sono validi.

E’ notorio come effettivamente molti matrimoni, ormai falliti e chiusi con separazioni civili e divorzi, di fatto non siano mai nati.

E’ ovvio che il principio di fondo nella Comunità Ecclesiale non è quello di “riparare i danni” quanto quello di “evitare i danni”. Il ricorso alla dichiarazione di nullità è solo un riparare il danno ma resta forte il compito della Chiesa, invece, di fare sì che i matrimoni che si celebrano con rito sacramentale nascano bene: in questo senso il Sinodo sulla famiglia, che si è svolto in due tempi, ha affrontato proprio questo discorso che avrà i suoi sviluppi concreti in un prossimo futuro allorquando il Santo Padre raccoglierà le fila del sinodo esarando un proprio documento conclusivo e normativo. Del resto che la famiglia nasca in modo solido, sano e stabile è una esigenza di fondo della società sia civile che ecclesiastica.

E’ molto significativo che Papa Francesco abbia voluto attuare la riforma del processo canonico di dichiarazione di nullità dei matrimoni religiosi prima della seconda parte del Sinodo. Tale scelta mi pare sottolinei bene come la volontà del S. Padre sia quella di procedere comunque, in caso di fallimento di un matrimonio, all’esame sulla nullità di quelle nozze prima di pensare ad altre eventuali soluzioni, se ci saranno, circa il problema dei divorziati risposati che è stato sempre il punto di attenzione dei media in questi due ultimi anni.

La linea guida della riforma di Papa Francesco è indubbiamente quella di facilitare il ricorso ai Tribunali Ecclesiastici di tutto il mondo, perché non dobbiamo dimenticare che la riforma riguarda la Chiesa universale e non solo la Chiesa Italiana.

Sotto questo profilo, considerando la situazione mondiale, è stata data centralità al Tribunale Diocesano e quindi al potere giudiziale del Vescovo che guida la singola diocesi il quale, come è ben noto, da ormai dieci secoli esercita il potere giudiziario attraverso uno strumento che appunto è il suo Tribunale e normalmente non personalmente ma attraverso il proprio Vicario Giudiziale.

L’Italia ha una singolarità rispetto agli altri paesi del mondo: ossia per motivi storici antichissimi (la culla del Cristianesimo è stata appunto l’Italia) esistono 226 Diocesi sparse su un territorio, tutto sommato, piccolissimo, con diocesi distanti una dall’altra addirittura pochi chilometri a differenza dei paesi esteri dove le distanze tra una diocesi e l’altra sono a volte davvero lunghissime, magari di centinaia di chilometri.

Proprio per questa singolarità Italiana, Papa Pio XI nel 1938 emise un “Motu proprio”, il “Qua cura”, che organizzava il potere giudiziario sulle nullità di matrimonio, che richiedevano una competenza e una preparazione specifica, creando appunto i Tribunali Regionali abilitati per le cause di nullità di ogni singola Regione Ecclesiastica Italiana, proprio per superare le difficoltà che avrebbero avuto le piccole Diocesi nell’impostare un Tribunale con personale preparato e competente.

Papa Francesco, con il suo “Motu proprio”, ha inteso abolire ogni altro documento, tra cui il “Qua cura”, sui Tribunali Ecclesiastici ma già prevedendo, appunto per la necessaria preparazione e competenza che si richiede e che è richiesta dal Motu proprio di Papa Francesco, la creazione di Tribunali Interdiocesani (del resto già esistenti in tutto il mondo), ossia Tribunali a servizio di più diocesi, che provvedano alle cause di nullità matrimoniali. Non ha quindi, di per sé, abolito i Tribunali Regionali Italiani attualmente esistenti, efficienti, ben preparati, che pertanto (salvo migliori chiarificazioni in diritto) restano tuttora in piedi, e svolgono tuttora il loro compito nello spirito della Interdiocesanità. Alcune Conferenze Episcopali Regionali tra cui anche quella Ligure (ma anche la Regione Piemontese e quella Lombarda) si sono appunto pronunciate nel senso di mantenere in piedi il Tribunale Regionale nello spirito di attuazione del Motu proprio di Papa Francesco ovviamente disponibili a compiere l’attività anche di appello come avviene in questo momento. Infatti il nostro tribunale appella a quello Regionale di Torino e quello di Milano al nostro di Genova.

Ci domandiamo quindi in che cosa consiste la riforma del S. Padre del processo canonico.

Due sono gli aspetti di fondo:

PRIMO

          Snellimento della procedura processuale:

innanzitutto deve essere  chiaro che resta del tutto inalterato l’impianto e l’impostazione processuale posto che la dichiarazione di nullità riguarda un contratto fra due persone ciascuna con propri diritti tra i quali quello del diritto di difesa di uno o dell’altra parte che resta assolutamente e ampiamente garantito (ovviamente anche con la possibilità di appello).

La prima cosa che indubbiamente abbrevia i tempi quasi riducendoli a metà rispetto alla precedente normativa è stata la NON OBBLIGATORIETA’ DELLA DOPPIA SENTENZA CONFORME. In pratica nella vecchia impostazione, perché una dichiarazione di nullità avesse effetto definitivo era necessario che esistessero due sentenze che appunto dichiaravano la nullità, pertanto era d’obbligo, comunque, in caso di sentenza affermativa in primo grado di esame, ricorrere al Tribunale di Appello, cosa che avveniva d’ufficio. Come è noto il Tribunale di Appello di Genova era quello ecclesiastico di Torino e lo è tuttora in caso di appello.

Ora, con questa riforma, se una causa di nullità ha ottenuto una risposta affermativa, ossia ha dichiarato nullo il matrimonio, quella prima sentenza affermativa diventa immediatamente esecutiva anche nel caso che vi sia stata una prima sentenza negativa e in appello sia diventata affermativa.

Poiché però l’impianto processuale resta assolutamente assicurato, è ovvio che vi sia il diritto sia da parte del Difensore del Vincolo (parte pubblica del processo canonico) e sia per decisione di una delle due parti in causa, di appellare contro la sentenza affermativa. In tal caso, salvo nuove indicazioni sul piano dottrinale, da Genova si appella al Tribunale Regionale di Torino.

Diciamo subito ch

La riforma del processo di declaratoria di nullità del matrimonio canonico stabilita dal S. Padre Papa Francesco con il “Motu proprio” “Mitis Judex Dominus Iesus” del 15  agosto 2015 è entrato in vigore il giorno successivo all’8 dicembre 2015.

Cominciamo dall’espressione “Motu proprio”: essa indica l’emanazione di un documento con determinati provvedimenti (in questo caso riguardanti il processo canonico) che il S. Padre ha espressamente voluto personalmente, per “movimento” proprio, per sua esplicita volontà.

In effetti, quando fu indetto il sinodo sulla famiglia, era emerso nei lavori preparatori il ripensamento sui processi di dichiarazione di nullità del matrimonio canonico nel senso di snellirli e facilitarli in considerazione della situazione di tanti cattolici separati e divorziati nella impossibilità di poter accedere a nuove nozze con rito sacramentale.

Tale ripensamento nasceva dalla situazione di fatto, ossia dalla coscienza che in realtà molti, troppi, matrimoni celebrati con rito religioso nascono male, ossia non sono validi.

E’ notorio come effettivamente molti matrimoni, ormai falliti e chiusi con separazioni civili e divorzi, di fatto non siano mai nati.

E’ ovvio che il principio di fondo nella Comunità Ecclesiale non è quello di “riparare i danni” quanto quello di “evitare i danni”. Il ricorso alla dichiarazione di nullità è solo un riparare il danno ma resta forte il compito della Chiesa, invece, di fare sì che i matrimoni che si celebrano con rito sacramentale nascano bene: in questo senso il Sinodo sulla famiglia, che si è svolto in due tempi, ha affrontato proprio questo discorso che avrà i suoi sviluppi concreti in un prossimo futuro allorquando il Santo Padre raccoglierà le fila del sinodo esarando un proprio documento conclusivo e normativo. Del resto che la famiglia nasca in modo solido, sano e stabile è una esigenza di fondo della società sia civile che ecclesiastica.

E’ molto significativo che Papa Francesco abbia voluto attuare la riforma del processo canonico di dichiarazione di nullità dei matrimoni religiosi prima della seconda parte del Sinodo. Tale scelta mi pare sottolinei bene come la volontà del S. Padre sia quella di procedere comunque, in caso di fallimento di un matrimonio, all’esame sulla nullità di quelle nozze prima di pensare ad altre eventuali soluzioni, se ci saranno, circa il problema dei divorziati risposati che è stato sempre il punto di attenzione dei media in questi due ultimi anni.

La linea guida della riforma di Papa Francesco è indubbiamente quella di facilitare il ricorso ai Tribunali Ecclesiastici di tutto il mondo, perché non dobbiamo dimenticare che la riforma riguarda la Chiesa universale e non solo la Chiesa Italiana.

Sotto questo profilo, considerando la situazione mondiale, è stata data centralità al Tribunale Diocesano e quindi al potere giudiziale del Vescovo che guida la singola diocesi il quale, come è ben noto, da ormai dieci secoli esercita il potere giudiziario attraverso uno strumento che appunto è il suo Tribunale e normalmente non personalmente ma attraverso il proprio Vicario Giudiziale.

L’Italia ha una singolarità rispetto agli altri paesi del mondo: ossia per motivi storici antichissimi (la culla del Cristianesimo è stata appunto l’Italia) esistono 226 Diocesi sparse su un territorio, tutto sommato, piccolissimo, con diocesi distanti una dall’altra addirittura pochi chilometri a differenza dei paesi esteri dove le distanze tra una diocesi e l’altra sono a volte davvero lunghissime, magari di centinaia di chilometri.

Proprio per questa singolarità Italiana, Papa Pio XI nel 1938 emise un “Motu proprio”, il “Qua cura”, che organizzava il potere giudiziario sulle nullità di matrimonio, che richiedevano una competenza e una preparazione specifica, creando appunto i Tribunali Regionali abilitati per le cause di nullità di ogni singola Regione Ecclesiastica Italiana, proprio per superare le difficoltà che avrebbero avuto le piccole Diocesi nell’impostare un Tribunale con personale preparato e competente.

Papa Francesco, con il suo “Motu proprio”, ha inteso abolire ogni altro documento, tra cui il “Qua cura”, sui Tribunali Ecclesiastici ma già prevedendo, appunto per la necessaria preparazione e competenza che si richiede e che è richiesta dal Motu proprio di Papa Francesco, la creazione di Tribunali Interdiocesani (del resto già esistenti in tutto il mondo), ossia Tribunali a servizio di più diocesi, che provvedano alle cause di nullità matrimoniali. Non ha quindi, di per sé, abolito i Tribunali Regionali Italiani attualmente esistenti, efficienti, ben preparati, che pertanto (salvo migliori chiarificazioni in diritto) restano tuttora in piedi, e svolgono tuttora il loro compito nello spirito della Interdiocesanità. Alcune Conferenze Episcopali Regionali tra cui anche quella Ligure (ma anche la Regione Piemontese e quella Lombarda) si sono appunto pronunciate nel senso di mantenere in piedi il Tribunale Regionale nello spirito di attuazione del Motu proprio di Papa Francesco ovviamente disponibili a compiere l’attività anche di appello come avviene in questo momento. Infatti il nostro tribunale appella a quello Regionale di Torino e quello di Milano al nostro di Genova.

Ci domandiamo quindi in che cosa consiste la riforma del S. Padre del processo canonico.

Due sono gli aspetti di fondo:

PRIMO

          Snellimento della procedura processuale:

innanzitutto deve essere  chiaro che resta del tutto inalterato l’impianto e l’impostazione processuale posto che la dichiarazione di nullità riguarda un contratto fra due persone ciascuna con propri diritti tra i quali quello del diritto di difesa di uno o dell’altra parte che resta assolutamente e ampiamente garantito (ovviamente anche con la possibilità di appello).

La prima cosa che indubbiamente abbrevia i tempi quasi riducendoli a metà rispetto alla precedente normativa è stata la NON OBBLIGATORIETA’ DELLA DOPPIA SENTENZA CONFORME. In pratica nella vecchia impostazione, perché una dichiarazione di nullità avesse effetto definitivo era necessario che esistessero due sentenze che appunto dichiaravano la nullità, pertanto era d’obbligo, comunque, in caso di sentenza affermativa in primo grado di esame, ricorrere al Tribunale di Appello, cosa che avveniva d’ufficio. Come è noto il Tribunale di Appello di Genova era quello ecclesiastico di Torino e lo è tuttora in caso di appello.

Ora, con questa riforma, se una causa di nullità ha ottenuto una risposta affermativa, ossia ha dichiarato nullo il matrimonio, quella prima sentenza affermativa diventa immediatamente esecutiva anche nel caso che vi sia stata una prima sentenza negativa e in appello sia diventata affermativa.

Poiché però l’impianto processuale resta assolutamente assicurato, è ovvio che vi sia il diritto sia da parte del Difensore del Vincolo (parte pubblica del processo canonico) e sia per decisione di una delle due parti in causa, di appellare contro la sentenza affermativa. In tal caso, salvo nuove indicazioni sul piano dottrinale, da Genova si appella al Tribunale Regionale di Torino.

Diciamo subito che l’appello in concreto è rarissimo, per cui oggi, eliminando l’obbligo della doppia sentenza conforme, i tempi per una causa di nullità sono pressoché dimezzati.

Nell’ipotesi che una causa di nullità affermativa sia appellata dal Difensore del Vincolo o da una delle due parti, in appello, costituito il Tribunale collegiale, avute le osservazioni del Difensore del Vincolo del Tribunale di Appello ed eventualmente ricevute le osservazioni delle due parti sulla sentenza, se l’appello risulta manifestamente dilatorio o inconsistente, il Tribunale collegiale conferma, con decreto, la sentenza di prima istanza, altrimenti procederà in via ordinaria nel riesame della causa.

E’ qui il caso di ricordare che, purtroppo, quando le due parti sono invece in lite, in contrasto e discordi sulla causa di nullità è evidente che i tempi per una dichiarazione  di nullità si allungano e talvolta anche in modo notevole anche in considerazione che sicuramente vi sarà poi un appello contro l’eventuale sentenza affermativa. Così come i tempi sono più lunghi quando nella causa si richieda l’apporto di un perito che svolga la perizia su una o su entrambe le parti in causa.

Un altro aspetto di novità, effettivamente assai rilevante, è quello di aver esteso la competenza del Tribunale Ecclesiastico anche alla parte attrice che abbia domicilio o quasi domicilio nell’ambito della giurisdizione del Tribunale stesso. In antecedenza la competenza del Tribunale era fondata solo sul luogo di celebrazione del matrimonio o sul domicilio della parte convenuta, e, con particolari procedure, anche al luogo dove dovevano essere raccolte la maggior parte delle prove. Ora restano valide tutte queste ipotesi aggiungendosi però la possibilità di fondare una causa presso il Tribunale di domicilio anche della parte attrice. Questa riforma è stata provvidenziale per moltissimi fedeli cristiani in considerazione della sempre più frequente mobilità, in genere a causa del lavoro, delle persone. In questo momento a Genova stiamo già ampiamente applicando questa nuova possibilità: si pensi per es. ai matrimoni celebrati all’estero (America Latina, India, Estremo Oriente) dove la parte convenuta abita colà mentre, per gli effetti del fenomeno migratorio, la parte attrice abita presso di noi e può quindi fondare la causa di nullità presso il Tribunale di domicilio ossia il nostro Ligure..

Oltre a queste prime grandi novità processuali, vi sono altre procedure iniziali che hanno snellito molto, soprattutto abbreviando i tempi istruttori, ma lasciando inalterata la struttura rigorosamente processuale (notifica del libello alla parte convenuta, presa d’atto della posizione della parte convenuta, concordanza del dubbio).

La riforma di Papa Francesco prevede inoltre un’altra opportunità che sveltirebbe notevolmente il procedimento di nullità, ossia la possibilità di instaurare un procedimento processuale assai più veloce per cui la causa di nullità assume la forma di causa “breviore”.

Questa è una novità assoluta: in pratica il Vicario Giudiziale di fronte a due ben determinate condizioni può decidere che quella richiesta di nullità segua un procedimento assai più breve con un Giudice particolarmente significativo.

Vediamo a quali condizioni la causa può diventare processualmente breve:

  • E’ assolutamente necessario che le due parti in causa siano d’accordo non solo nell’affrontare la causa di nullità ma anche d’accordo sullo stesso contenuto del libello introduttivo che, al limite, può anche essere sottoscritto da entrambe le parti. Il semplice silenzio della parte convenuta pur significando, a livello processuale, una supposta non opposizione alla causa, non è sufficiente per decidere sul cammino “breviore” della causa medesima. In pratica il consenso della parte convenuta deve essere esplicito.
  • Il capo di nullità o i capi di nullità debbono essere alla luce dei fatti, delle circostanze e delle persone già nel libello così evidenti che non richiedano indagini approfondite e la nullità già in partenza sia manifesta. Questo è l’aspetto più delicato, tanto è vero che lo stesso Vescovo che presiede il procedimento in sede di decisione finale, se non ha elementi moralmente certi, dovrà rimettere la causa all’esame ordinario.

La causa “brevior” ha come Giudice monocratico lo stesso Vescovo della Diocesi competente, affiancato da due assessori, dei quali uno ha il compito di svolgere l’istruttoria.

L’istruttoria compiuta dal Vicario Giudiziale o da un altro assessore che però abbia le competenze giuridiche, deve svolgersi in tempi brevissimi, ossia non oltre i trenta giorni, interrogando parti e testi o nello stesso giorno o in tempi strettissimi con interrogatori ridotti all’essenziale.

Terminata l’istruttoria è assolutamente necessario l’intervento del Difensore del Vincolo che deve proporre, entro quindici giorni,  tutti gli elementi che sono contrari alla dichiarazione di nullità.

Infine il Vescovo, udito il parere dei due Assessori, decide la causa e stende la sentenza. Come si è detto se non vi fosse certezza morale da parte del Vescovo nel dare risposta affermativa, la causa passa all’esame ordinario che è quello già previsto dal Codice di Diritto Canonico.

Mi pare fondamentale rimarcare che la causa “brevior” di fatto è un vero e proprio processo con presentazione del libello, con la partecipazione dell’altra parte, con la concordanza del dubbio, e con l’intervento obbligatorio della parte pubblica ossia del Difensore del Vincolo e comunque anche con il contraddittorio tra le parti (se le parti lo vedessero necessario) e si chiude con la stesura di una sentenza.

Se non si verificano intoppi una causa brevior dalla presentazione del libello alla sentenza del Vescovo potrebbe durare solo tre mesi.

Contro la decisione del Vescovo infine il Difensore del Vincolo, “onerata sua conscientia”, ossia se davvero ha motivi validi, ha diritto di appellare.

Queste sono, in buona sostanza, le grandi novità della riforma dei procedimenti processuali.

Appare di prima evidenza l’intento di facilitare ai fedeli cristiani non solo il ricorso al Tribunale, ma anche, nei casi più chiari, abbreviare la tempistica.

Ritengo però di poter già anticipare, come mia pura e semplice opinione alla luce però dell’esperienza ormai pluridecennale,  che la possibilità concreta del ricorso alla forma “brevior” non sarà così frequente come si può pensare.

A titolo di esempio, dopo l’8 dicembre 2015 fino ad oggi sono stati presentati presso il Nostro Tribunale Ligure 29 istanze di nullità: alla data odierna solo due di quelle cause hanno potuto intraprendere il procedimento più breve che è ovviamente ancora in corso.

A parte l’eventuale possibilità della causa breviore, in tutti gli altri casi il processo di nullità si svolge secondo la via ordinaria come è prevista dal Codice di Diritto Canonico vigente a parte alcune accelerazioni iniziali alle quali ho già accennato.

SECONDO

Papa Francesco vuole e desidera che venga assicurata la gratuità delle procedure. Egli si esprime precisamente così:

“Le Conferenze Episcopali curino, per quanto è possibile, salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei Tribunali, che venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli Madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime, manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati”.

E’ vivo desiderio del Santo Padre che i problemi economici non costituiscano assolutamente un impedimento nel ricorrere al Tribunale Ecclesiastico per la nullità del matrimonio proprio perché si tratta di un procedimento strettamente legato alla salvezza delle anime e quindi uno strumento strettamente pastorale.

Papa Francesco ha demandato alle Conferenze Episcopali nazionali il compito di provvedere a questo aspetto naturalmente non dimenticando che, dove ci sono persone che lavorano, queste hanno diritto alla giusta ricompensa.

In attesa di indicazioni più concrete da parte della Conferenza Episcopale Italiana, l’attuale disciplina per i Tribunali Ecclesiastici Regionali instaurata in Italia ormai da parecchi anni, prevede addirittura la totale gratuità della causa di nullità in casi particolari.

Da anni gli aspetti economici delle cause di nullità in Italia sono così impostati:

quando la parte attrice presenta un libello in Tribunale, è invitata a versare la cifra di € 525,00 comprensiva di tutte le spese e gli oneri del Tribunale ivi compresa l’eventuale perizia d’ufficio che si debba svolgere in causa nonché anche l’eventuale appello al Tribunale di Torino.

Si tratta in realtà di un piccolo obolo che la parte attrice offre al Tribunale per venire, solo in piccola parte, incontro alle spese che il tribunale ha per ogni singola causa.

          Se una parte attrice non fosse in grado di versare quella cifra, presentando una documentazione o una lettera del proprio Parroco, si concede la totale gratuità processuale.

Poiché però ogni causa di nullità necessita dell’aiuto e dell’intervento di un avvocato dobbiamo qui ricordare che:

– in ogni Tribunale Regionale esistono almeno due Patroni Stabili, che sono due avvocati ricompensati dal Tribunale stesso che hanno un doppio compito:

  1. a) fare consulenza totalmente gratuita: ossia chiunque può telefonare in tribunale, prendere appuntamento con un Patrono Stabile, con lui esporre il proprio caso e vedere se vi è la possibilità di introdurre una causa di nullità:
  2. b) la stessa persona può anche chiedere di essere patrocinato dallo stesso Patrono Stabile, in tal caso non vi è alcuna spesa di onorario per l’avvocato e pertanto la causa di nullità risulta essere gratuita per quanto riguarda l’aspetto dell’assistenza dell’avvocato. Concludendo, se una persona non potesse versare la piccola cifra simbolica di € 525,00 e naturalmente si serve del Patrono Stabile, la causa in questo caso è gratuita sia per il patrocinio che per gli oneri del Tribunale.

– in ogni Tribunale esiste un Albo degli Avvocati ammessi a difendere le cause di nullità: ogni persona naturalmente è libera di servirsi di un avvocato di fiducia ricorrendo appunto ad uno di quelli inseriti nell’Albo del Tribunale.

Per quanto concerne l’onorario di un avvocato di fiducia i Vescovi Italiani hanno stabilito, per l’assistenza totale ad una causa di nullità,  una cifra che si aggira sui tremila euro (con l’aggiunta degli oneri connessi). Nulla vieta che vi siano accordi con l’avvocato per ridurre la cifra prevista: in ogni caso al momento in cui si presenta il libello al Tribunale Ecclesiastico, lo stesso Tribunale fissa, con la parte attrice (o con la parte convenuta se questa si costituisce con un proprio avvocato), l’onorario dovuto all’Avvocato stesso.

Insomma, in questo momento, si può sostanzialmente dire che il servizio del Tribunale per una causa di nullità è pressoché gratuito (salvo, quando è possibile, l’obolo di cui si è parlato) purché naturalmente ci si serva del Patrono Stabile il quale ovviamente procederà nei tempi che gli sono possibili.

L’IMPEGNO PASTORALE DELLE COMUNITA’ PARROCCHIALI

Papa Francesco nel suo Motu Proprio da due indicazioni concrete sul piano pastorale:

La prima è quella che riguarda sia i Parroci, sia tutti gli operatori pastorali (Diaconi, catechisti, educatori, responsabili della Liturgia, responsabili dei movimenti ecclesiali, ecc.) di prendere a cuore il problema dei separati e tanto più dei divorziati e risposati civilmente proprio perché si orientino ad appurare e vedere se, nel loro caso, non sia possibile una dichiarazione di nullità del matrimonio contratto in precedenza sacramentalmente.

E’ questo il primo passo concreto per cercare di risolvere in modo radicale il problema morale delle unioni per la Chiesa non corrette, onde poter celebrare nuove nozze in modo sacramentale e quindi essere in piena comunione con la Chiesa e accostarsi all’Eucarestia e a tutti gli altri Sacramenti.

Si tratta di un’opera di sensibilizzazione che dobbiamo fare tutti: se conosciamo delle persone separate, divorziate, risposate civilmente, è nostro dovere consigliarle a rivolgersi al Tribunale Ecclesiastico ben sapendo, e quindi esplicitamente dichiarando, che non vi sono difficoltà economiche.

Secondo la nostra esperienza dobbiamo dire che quest’opera di sensibilizzazione e di suggerimento non avviene: a livello pastorale non ci si preoccupa di suggerire il ricorso al Tribunale Ecclesiastico. Si pensi che fino ad oggi la maggior parte dei casi che si presentano al nostro Tribunale sono stati indirizzati da altri che già sono ricorsi al nostro ministero, insomma con il “passa parola”.

E’ troppo poco: deve esserci da parte di tutti una vera preoccupazione pastorale ossia quella di sensibilizzare e suggerire il ricorso alla dichiarazione di nullità

La seconda indicazione è ancora più concreta: quella di aiutare, di fatto, la persona in ciò che è necessario per avviarsi alla causa di nullità: ovviamente nessuno, che non sia specializzato, può essere in grado di stabilire se, in quel caso, sia possibile la dichiarazione di nullità,  ma è invece molto facile indirizzare, in concreto, a persone competenti, come il Parroco, come la Curia, come il Tribunale, o direttamente al Patrono Stabile, insomma a qualcuno che sia in grado di dare consigli e aiutare.

C’è poi un altro modo molto fraterno e concreto di aiutare la persona: per es. a prendere l’appuntamento con il Patrono Stabile, accompagnarla per la prima volta al Tribunale , a volte è necessario aiutare queste persone nel trovare e nel raccogliere i documenti necessari per introdurre la causa, così come a rintracciare le persone che possano essere testimoni nella causa di nullità.

Insomma è compito della comunità Parrocchiale intera mettersi a servizio di un nostro fratello perché possa raggiungere la mèta della nullità: anche questo fa parte della carità e dell’impegno pastorale che tutti dobbiamo avere verso gli altri.

Spero di essere stato sufficientemente chiaro, spero che il Motu proprio di Papa Francesco dia i suoi frutti, soprattutto spero che tutti ci mettiamo nell’ordine di idee di aiutare chi è nella opportunità di ricorrere alla dichiarazione di nullità.

Mons. Paolo Rigon

Vicario Giudiziale